EL NOST MILAN
El nost Milan dall'omonima opera di Carlo Bertolazzi, adattamento di Tindaro Granata e Serena Sinigaglia - Regia di Serena Sinigaglia - Con Lella Costa - Visto al Teatro Carcano il 5 dicembre 2024 - Recensione di Adelio Rigamonti
EL NOST MILAN: DOVE EMERGE LA DIGNITÀ DEGLI ULTIMI
"Dopo aver visto El nost Milan ideato e diretto da Serena Sinigaglia vengono su dal di dentro grossi paroloni positivi per il grande esperimento di teatro collettivo, sociale e popolare portato sulle tavole del Carcano, il medesimo Teatro in cui debuttò, centotrenta anni fa, l'opera di Carlo Bertolazzi." Così iniziavo la recensione del 5 dicembre del "22 dopo aver visto El nost Milan – La povera gente".
Il terzo e ultimo capitolo del progetto di arte partecipata, visto l'altra sera giustamente al Carcano, vuole essere un omaggio a Carlo Bertolazzi e alla sua opera.
L'adattamento per voce sola e coro ispirato all'omonima commedia di Carlo Bertolazzi, così viene presentato, è grande teatro e se le precedenti parti, La povera gente e I signori, fornivano un'esaustiva mappa della Milano d'oggi, questa nuova produzione cerca di vedere la città con gli occhi stessi dell'autore. Se la prima parte raggiunge le vette del capolavoro in ogni suo momento e viene esaltato dalla partecipazione di numerosissimi cittadini accomunati da diverse povertà reali questa terza parte ci suggerisce un emozionante ed emozionale ritorno al passato, all'originale: la Milano di fine Ottocento vista e indagata in presa diretta da Bertolazzi stesso.
Nella preziosa opera di rilettura e di adattamento drammaturgico di Serena Sinigaglia e di Tindaro Granata, sorretti da un'efficace traduzione di Domenico Ferrara, il testo è stato asciugato senza alcun tradimento dell'opera bertolazziana e lo spettacolo o meglio la proposta, procede toccando tutti gli snodi fondamentali della storia. (c.s. cit.). È un procedere in una Milano d'una volta, alla sua riscoperta, alternando momenti corali interpretati da trenta cittadini che sono stati scelti tra coloro che hanno partecipato alle esperienze precedenti. Un gruppo di attori/non attori che è riuscito a essere sul palco sodale e solidale anche nel risolvere i piccolissimi inghippi che sempre accadono alle prime dei grandi e complessi lavori.
Nelle parti corali è molto suggestivo l'inizio che, attorno alla sofferenza del Rico, clown tisico, sfoggia l'allegria programmata e spesso infelice degli spettacoli circensi. Tutti interessanti gli altri, con sapienti strizzatine d'occhio al vaudeville nella sua lontana accezione di voce della città da voix de ville. La voce della città si sente eccome ed emerge una Milano di fine Ottocento intricata, quasi parallela, con alcuni aspetti, tanti, della Milano attuale con guasti e bellezze. Attualmente mi pare più i primi che le seconde.
A unire i vari quadri corali e a illustrarci la narrazione del Bertolazzia è Lella Costa, che riesce a commuovere più di una volta scavando in una lingua milanese lontana nel tempo e soprattutto dalla parlata dei commenda di tanto cinema panettone. Lella Costa, preziosa presenza nei capitoli precedenti qui interpreta alla grande tutti i difficili dialoghi in lingua milanese: toccanti soprattutto quelli tra il Pepon e sua figlia Nina.
Come sempre la scenografa Maria Spazzi centra il bersaglio restituendoci con quinte e teleri il teatro di fine Ottocento, sostituendo i vecchi servi di scena con l'attuale tecnologia.
I costumi di Paola Giorgi, oltre a essere congrui a tutto l'apparato scenico, appagano l'occhio dello spettatore in particolare quelli con reminiscenze quasi felliniane per i circensi del primo coro, quelli da popolani per il coro del lotto, e quelli marsina e cilindro dei signori impegnati in quello che oggi si definirebbe gossip.
Un grande applauso va all'accuratissimo apparato drammaturgico di Serena Sinigaglia e Tindaro Granata, che hanno asciugato di molto il testo senza togliere nulla alla narrazione originale e offrendo al pubblico un pur sempre completo ed emozionante Nost Milan.
In ogni minuto dei quasi centoventi dello spettacolo si nota forte l'impronta registica di Serena Sinigaglia che sempre più si affinca per diverse emozioni e linguaggi ai più grandi registi del secolo scorso come Strehler e soprattutto Tadeusz Kantor, che io accomuno all'attuale Serena per la capacità di riuscire a fare teatro dal basso e soprattutto a dare concretezza e soprattutto dignità agli ultimi.
Adelio Rigamonti